Solidarietà o assistenzialismo?

Castiglione Olona, marzo 2017.

Da bambino volevo fare il missionario.

Poi, complici forse le tempeste ormonali della pubertà, ho come molti pensato di non poter fare a meno del sesso e di una moglie, ed ho finito per calarmi nella materia e fare l’industriale.

Qualcuno mi dice che in fondo è la stessa cosa, ci si occupa pur sempre dei bisogni della gente (“in fondo l’imprenditore è un creatore di ricchezza che solo temporaneamente amministra” – Carlos Slim, considerato l’uomo più ricco del mondo nel 2007), dando lavoro a molte famiglie, creando benessere e operando attivamente per “le umane sorti e progressive”. E morendo poi nudi, come tutti.

Ma a distanza di più di 40 anni mi ritrovo ancora celibe e per giunta solo, e pure stanco di creare una forse inutile ricchezza di cui non godrò mai (odio il lusso e l’ostentazione, adoro la frugalità, le cose semplici…e qualcuno, non senza qualche ragione, mi accusa anche di avere “il braccino corto”), ricchezza che viene invece ampiamente e assiduamente falcidiata dalle tasse, per essere poi sperperata da politici parassiti e da una famelica e dissipativa pubblica amministrazione.

Anche le mie convinzioni religiose sono cambiate, avendo progressivamente perso la stima nella Chiesa e nelle strutture ecclesiastiche (e non chiedetemi perché, dato che se uno non è in grado di capirlo da solo, è perfettamente inutile tentare di spiegarglielo).

Ma i missionari sono tutta un’altra cosa: pur avendo molti dei difetti tipici dei diocesani (sono pur sempre dei preti!) sono assai più vicini ai veri insegnamenti trasmessici da Cristo, ed è bello collaborare con loro. Sto cercando quindi di dedicare le mie forze e capacità residue a qualche valido progetto di aiuto alle persone bisognose.

Ma cos’è un “valido aiuto”? Dare una pagnotta a qualcuno che dopodomani morirà comunque di fame? Curare la malaria di chi poi morirà ancor più orribilmente d’HIV? Vaccinare e curare torme sterminate di bambini, che poi cresceranno ed andranno ad incrementare il numero dei disperati che sopravvivono a stento tra gli abusi, la delinquenza e la miseria delle favelas, contribuendo per giunta anche ad incrementare il degrado ambientale?

Un aiuto efficace deve contribuire a trovare una soluzione reale e duratura, è inutile e perfino poco etico e controproducente cadere in forme di pietismo e nudo assistenzialismo. Si rischia solo di ingigantire e rinnovare all’infinito il problema. E’ inutile “distribuire pesci”, occorre insegnare “a pescare”. E procurare le canne da pesca, ovviamente.

Quando ero bambino l’India aveva 300 milioni di abitanti, di cui 100 milioni sotto la soglia di povertà.  In 100 milioni morivano di fame e di stenti, conducendo vite di sofferenza e disperazione.  Ricordo che Gandhi allora promise 100 milioni di nuovi posti di lavoro, per risolvere il problema. In realtà  nei successivi decenni si fece molto di più, perché vennero create molte centinaia di milioni di nuovi posti di lavoro, ma nel frattempo la popolazione era passata da 300 a 900 milioni, e il numero dei derelitti era passato da 100 a 300 milioni. Oggi l’India ha quasi 1,5 miliardi di abitanti, e la povertà…. Meglio non parlarne! Il totale delle sofferenze è aumentato.

Occorre trovare un modo di aiutare veramente la gente, vale a dire consentir loro di stare meglio, e diminuire veramente l’infinito dolore che accomuna i derelitti.

i pozzi  per l’acqua potabile aiutano, anche perché semplificano la vita alle donne e ai bambini (che in Africa sono incaricati di procurare l’acqua, a prezzo di grandi fatiche), ma non bastano.

Occorre  alzare i livelli di coscienza della popolazione, e il modo più efficace per farlo è l’istruzione.  Le persone istruite hanno più possibilità di vivere una vita decente, ed in genere comprendono che troppi figli comportano più problemi che soddisfazioni. Quasi tutte le donne che ho conosciuto in Africa e in Sud America vivono l’eccessiva maternità come un peso e a volte  come una condanna e, se ne avessero i mezzi, preferirebbero prendere la pillola e prendere così in mano anche il controllo della propria vita, attraverso un efficace controllo delle nascite. Le donne istruite, che hanno migliori possibilità, solitamente preferiscono avere solo un paio di figli, che però poi fanno studiare per poter garantir loro una vita migliore e più accettabile (“Meglio due figli a scuola, che 10 per strada”, mi ha confessato una nera ancor giovane e piacente in Malawi, che per l’appunto aveva solo due figli, ormai grandicelli,  quando lei stessa proveniva da una famiglia di 15 fratelli-sorelle).

E poi c’è il degrado ambientale, che dilaga sempre più, di anno in anno, unitamente all’incremento della popolazione ed all’aumento delle esigenze della popolazione locale. Basti pensare alla quantità di legna e carbonella necessaria per cuocere anche solo un magro pasto: se raddoppia la popolazione, raddoppia la quantità di alberi abbattuti, fino a sorpassare il tasso di ricrescita vegetale, con conseguente disboscamento e progressivo impoverimento del terreno. Anche i terreni coltivabili in alcuni Paesi (per esempio in Malawi) cominciano già a scarseggiare.

E’ poi giusto che tutti possano consumare un po’ di più, e che tutti abbiano almeno un minimo accesso ai prodotti della moderna civiltà,  ma bisogna poi gestire la montagna di rifiuti non bio-degradabili e spesso anche tossici che si generano costantemente (basti pensare alle batterie, che in Africa sono ancora a base di piombo, cadmio e mercurio…e che vengono gettate per terra, dove capita, in genere vicino alla capanna dove si vive). Lo smaltimento responsabile, e men che meno la raccolta differenziata, ovviamente non  rientrano ancora nelle regole contemplate dalle tradizioni tribali, molto efficaci per risolvere  o almeno gestire i millenari e conosciuti problemi locali, ma assolutamente inadeguate davanti all’invasione della nostra civiltà dei consumi.

Pozzi, istruzione e rifiuti sono i grandi temi su cui vorrei intervenire con priorità, dato che fame, malattie e abbandono dei disabili sono solo una conseguenza dell’ignoranza, della mancanza d’igiene e oggi anche dell’inquinamento. Investire prevalentemente per curare le conseguenze, trascurando così le cause per mancanza di risorse, come quasi sempre si è finora fatto in nome di un pietistico e spesso pellagroso assistenzialismo, porta soltanto ad ingigantire e, nel lungo termine,  a rendere  ingestibili i problemi.

Non sto dicendo di abbandonare i deboli e gli infermi a sé stessi, perché in ogni persona che soffre e che muore vedo soffrire e morire anche una piccola parte di me, ma da buon Naturopata sono fermamente convinto che sia più facile ed efficace prevenire che curare. E da persona dotata di un elevato spirito pratico ed utilitaristico (da non confondere con l’egoismo), durante le mie vacanze in India ho preferito fermarmi nella “clinica dei poveri” del dr. Jack Praeger, del Calcutta Rescue Fund, dove curavamo gratis i mendicanti e i derelitti su un  marciapiede, piuttosto che proseguire un poco oltre ed andare come molti da Madre Teresa, allora ancora in vita e che pur stimavo moltissimo, che però assisteva i moribondi al Kalighat. Certamente io non diventerò mai un santo, e per un sacco di più o meno buoni motivi  non mi reputo nemmeno un buon cristiano, ma da bravo imprenditore preferisco pensare al benessere e alla salute dei vivi, fatto verificabile e concreto, piuttosto che salvare l’anima dei morti (cosa opinabile, fideistica e forse perfino inutile, perché mi dicono che l’anima sia già di per sé immortale).

Forse è anche per questo che nella vita ho fatto l’industriale e non il missionario.

Qui di seguito cercherò a poco a poco di pubblicare alcune delle mie esperienze in campo solidale, quelle passate e, spero, anche quelle future.

Se siete attirati dal desiderio di proseguire dove io mi sono fermato, o se semplicemente avete voglia di dare una mano in qualche progetto, rimango a disposizione per informazioni, consigli e qualsiasi cosa.

Se avete inoltre qualche valida idea o qualche valido progetto, compatibile coi suddetti  scopi e princìpi, e siete in cerca di finanziamenti per poterlo realizzare, rimango ugualmente a disposizione per valutare la mia partecipazione come sponsor.

Scrivetemi al mio indirizzo postale, inserendo le vostre coordinate (telefono e mail) per un contatto diretto.

dr. Giuseppe Limido, via San Francesco 3, 21043 Castiglione Olona (Varese) – Italia.

 

 

 

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