TESI - cap. 2.01 Aloe, presentazione e cenni storici

Si deve a Padre Romano Zago il merito della riscoperta nel mondo occidentale dell’aloe come anticancro e disintossicante naturale.

In realtà l’aloe è conosciuto da millenni, le prime raffigurazioni si trovano sui muri di templi dell’antico Egitto risalenti al 4.000 a.C.
Una serie di ricette a base di aloe per la cura di vari disturbi è riportata dal “Papiro di Ebers”, del 1.500 a.C., uno dei più antichi testi di medicina.
Gli egiziani veneravano l’aloe chiamandola “Pianta dell’immortalità” e la usavano perfino per i processi di imbalsamazione.
L’aloe è citata anche dalla Bibbia, e secondo la leggenda il saggio re Salomone la teneva in grande considerazione e la coltivava per le sue proprietà terapeutiche.
In medicina ayurvedica, di tradizione millenaria, l’aloe veniva chiamata “Musabbar” ed era utilizzata per i disturbi mestruali, gastrici e dermatologici e per eliminare i parassiti interni.
Ippocrate (460-357 a.c.) descrive le sue capacità disinfettanti, anti-infiammatorie e rigenerative.
Pericle (400 a.c.), alchimista e famoso uomo di stato di Atene, utilizzava l’aloe per la preparazione del suo “Elisir Proprietatis” (aloe, mirra e zafferano).
I cavalieri Templari bevevano una miscela di vino di palma, polpa d’aloe e canapa chiamata “Elisir di Gerusalemme”, a cui attribuivano il segreto della loro buona salute e longevità (nonché buonumore direi, visto la presenza della canapa…)
L’isola di Socotra, vicino al Corno d’Africa, intorno al 500 a.C. era divenuta un reputato centro di produzione di aloe. Sembra che fu principalmente per questo motivo che circa 200 anni più tardi Alessandro Magno la conquistasse, per poter assicurare ai propri soldati un continuo rifornimento di aloe per curare le ferite.

Aloe Succotrina (Tafelbergaalwyn ), ancora poco sviluppata
Namibia – agosto 2007
(Foto di Giuseppe Limido)
Gli indù la chiamavano “Guaritrice silenziosa”, i medici dell’antica Cina il “Rimedio Armonioso”, gli antichi romani “Pianta dell’ustione”, le popolazioni russe “Elisir della longevità”, i gesuiti “L’albero di Gesù”.
Gli indiani Seminale della Florida pensavano che la “Fontana della Giovinezza” sgorgasse da una polla immersa tra piante di aloe.
Discoride (1° secolo d.C.) nel suo celebre “De materia medica” e/o nell’ “Erbario Greco” descrive il gel interno delle foglie come adatto alla cura di foruncoli, emorroidi, pelle secca, mal di gola, tonsilliti, gengiviti, nonché per contusioni, ferite e come valido emostatico per le emorragie.
Infatti il gel dell’aloe, quando viene a contatto con l’aria a causa di un taglio nel parenchima della foglia, sviluppa una reazione che lo porta a solidificarsi rapidamente, formando uno strato gommoso che fa subito cessare la fuoruscita di liquido dalla ferita della pianta. In modo analogo si comporta se applicato alle ferite di uomini o animali, fermando il sangue, cicatrizzando e svolgendo nel contempo un’attività disinfettante e rigenerante.

Gel e tessuto “gommoso” cicatriziale
su sezione di foglia di Aloe Vera Barbadensis
(Foto di Giuseppe Limido)

Discoride inoltre usava il gel di Aloe per curare le irritazioni al prepuzio e le ulcere genitali, il che la dice lunga sulle abitudini dei suoi pazienti, visto che passò lungo tempo come medico al seguito delle poco morigerate legioni romane…
Nel Medio Evo l’Aloe continuò ad essere utilizzata, ma soltanto nei luoghi caldi dove cresceva (fra cui Italia, Spagna e Portogallo), dato che le proprietà più preziose dell’aloe svaniscono rapidamente dopo pochi giorni dalla raccolta.

I metodi di conservazione dell’antichità lasciavano molto a desiderare: gli Arabi piazzavano la polpa estratta dalle foglie dentro sacchi di pelle di capra e la facevano seccare al sole sino a ridurla in una specie di resina; i Socotrini riducevano le foglie secche in polvere, i coloni della Giamaica facevano bollire le foglie in una casseruola e raccoglievano un succo molto concentrato; alle Barbados gli schiavi tagliavano le foglie della pianta e le collocavano, intagliate per il lungo e verso il basso, in un recipiente di legno dove il succo scolava nell’attesa di essere bollito e ridotto sino alla consistenza dello zucchero di canna.
Ovviamente seguendo tali procedimenti di preparazione ciò che si otteneva era solo un pallido ricordo della pianta vitale e fresca e anche le proprietà farmacologiche, specialmente quelle riferite al gel fresco, ne uscivano fortemente penalizzate: infatti nei paesi del Nord Europa, dove l’aloe non cresce e ci si doveva accontentare di quella “conservata”, veniva usata principalmente come un violento ed efficace purgante, guadagnandosi una poco piacevole reputazione (la scelta fra l’olio di ricino e l’amara polvere d’aloe, specialmente fra i bambini, non doveva essere fra le più piacevoli della vita infantile!).
Cristoforo Colombo considerava l’aloe, presumibilmente fresca e in vaso, piantata nel caratteristico balconcino sempre presente a poppa delle navi del tempo e che non per niente si chiamava “giardinetto” (ancora oggi nel gergo dei velisti “avere il vento al giardinetto” significa andare col vento in poppa) indispensabile per affrontare i suoi lunghi viaggi (“Quattro vegetali sono indispensabili per la salute dell’uomo: il frumento, la vite, l’ulivo e l’aloe. Il primo lo nutre, il secondo ne rinfranca lo spirito, il terzo gli reca armonia, il quarto lo guarisce” – Cristoforo Colombo, 1451-1506).
A partire dal 1.400 furono i gesuiti che divennero cultori e diffusori delle proprietà dell’aloe in tutto il mondo, utilizzando le specie locali o piantandola ex-novo.
In Cina Li Shihscau (1518-1593) considera l’aloe come una delle piante dotate di maggiori proprietà terapeutiche.
Il medico-alchimista svizzero tedesco Paracelso trattò dell’aloe nel suo libro “Botanica occulta” nel 1592.
Nel XVI secolo, il senese Pietro Andra Mattioli nel terzo dei suoi sei libri sulla materia medicinale esamina approfonditamente le proprietà dell’ “Aloe”, riconoscendone l’effetto cicatrizzante: “nondimeno può elle diseccare, che agevolmente saldare le ferite”, purgante: “solve il corpo”, gastroprotettivo: “utile allo stomaco, sana l’ulcere maligne e contumaci”, antinfiammatorio: “vale alle infiammazioni della bocca, del naso e degli occhi”, stimolante: “solve 1’ ‘àloe la colera, e la flemma: e modifica la testa da quelle e parimenti lo stomaco”, antisettico: “libera l’uso quotidiano dai morbi mortiferi: e tolto insieme con mirra (concorda quindi con Pericle!) preserva non solamente i corpi morti dalla putretudine, ma ancora i vivi”, e antielmintico: “ammazza i vermini del corpo”.

Nei secoli successivi l’uso dell’aloe da parte dei medici andò via via scomparendo, a torto soppiantato da farmaci sempre meno naturali e sempre più complicati, la cui preparazione e vendita permetteva un buon guadagno senza cadere nel timore che i pazienti se li potessero liberamente procurare gratis nella “Farmacia del Signore” in campagna.
Continuò però ad essere tradizionalmente utilizzata presso le classi meno abbienti, che avevano la fortuna di non potersi permettere i costosi medicinali via via considerati “moderni”, che spesso facevano (e talvolta tuttora fanno!) più male che bene: celebre ad esempio il caso dei minerali radioattivi, che quando venne scoperta la radioattività era di gran moda iniettare nei pazienti come tonico ricostituente e “cura di tutte le malattie” (che in effetti “terminavano” in breve tempo…).
Proprio per la cura delle radiodermiti (ustioni da radiazioni, e in particolare da raggi X) l’aloe venne riscoperta dalla classe medica a partire dagli anni 30 (Collins W.e D,-3b).
Fu però soltanto nel 1941 che l’aloe ebbe la sua prima descrizione dettagliata grazie agli sforzi dei prof. Tom D. Rowe e Lloyd M. Parks, che hanno condotto un’ analisi approfondita della pianta e hanno registrato i loro risultati nel Giornale dell’Associazione Farmaceutica Americana.
Nel 1945 l’aloe venne utilizzato con successo per trattare le ustioni da radiazione degli abitanti di Nagasaki. I soggetti trattati con aloe ebbero un decorso nettamente più favorevole di quelli trattati con farmaci allopatici.
Fu infine soltanto dopo il 1970 che si scoprì il modo di stabilizzare e conservare il gel, altrimenti soggetto a rapido deterioramento, in modo che rimanesse essenzialmente identico al gel fresco, aggiungendo acido ascorbico, vitamina E e sorbitolo, sottoponendo poi il composto ad un ciclo di sbalzi successivi di temperatura (procedimento scoperto e brevettato da Bill Coats, fondatore dell’ ”Aloe Vera of America”).

Ciò ha permesso una rapida diffusione dell’aloe, il cui uso non fu più limitato alle immediate vicinanze del luogo di crescita o soggetto a difficili problemi di trasporto. Da allora la possibilità di uno sfruttamento commerciale ha molto contribuito al successo dell’aloe, sempre più pubblicizzato sia come succo in gel da bere, sia come componente miracoloso di medicine, creme, pomate e perfino shampoo per capelli.

Non bisogna però dimenticare che la migliore efficacia e la più potente “vis medicatrix” si trova ancor oggi nelle foglie vive e fresche…preferibilmente da cogliere gratuitamente, al bisogno, nel “giardinetto” di casa, proprio come faceva Cristoforo Colombo (che non per niente era genovese!).

Aloe Vera Sudafricana (Medisyneaalwyn)
Namibia – Agosto 2007
(Foto di Giuseppe Limido)

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