TESI - cap. 3.03 Il Kombucha nella tradizione e nella storia

L’origine dell’uso del Kombucha si perde nella notte dei tempi. Le prime tracce si trovano nel 2.000 AC. in Cina, alla corte dei sovrani Yi Ti e Tu K’ang, cui è attribuita la scoperta di una ricetta per far fermentare cereali e verdure allo scopo di renderli più nutrienti e benefici all’organismo.
La storia della medicina cinese riporta poi che alla corte della dinastia Tsin (Tsin Sche Hang-ti), fondata dal re Yin Tschen (259-210 AC) si attribuisse la massima importanza alla ricerca di un elisir di lunga vita, che permettesse ai sovrani di regnare il più a lungo possibile, in ottima salute e con la massima autorità.
E’ in tal senso importante considerare come in Cina ancor oggi, contrariamente a quanto avviene in Occidente, si acquisti in importanza e autorità ( e curiosamente anche in fascino agli occhi del gentil sesso…) a mano a mano che si avanza in età. Mi ha infatti riferito un anziano conoscente, che ha lavorato a lungo in Oriente, che mentre in Occidente diciamo “ho già 60 anni”, in Cina si dice “ho solo 60 anni”!
Gli studiosi della corte dei re Tsin Sche Hang-ti tenevano in grande considerazione le piante crittogame (funghi, felci e muschi), che infatti noi oggi sappiamo essere fra le piante “più antiche”, cui attribuivano la proprietà di poter prolungare la vita. In particolar modo era molto valutato il fungo Ganoderma Japonicus (Fr. Lloyd) o “Divino Tsche” (Ling Tsche), che sembra fosse proprio il Kombucha, che ancor oggi è così chiamato in alcune regioni (vedi elenco dei sinonimi del Kombucha).
Nel 141 l’imperatore giapponese Inkyo fece venire appositamente dalla Korea (che a quei tempi era culturalmente assai progredita) un medico di nome Kombu per curare i disturbi digestivi di cui soffriva. Il medico coreano portò con sé “il Divino Tsche”, che presto si guadagnò la fama di rendere forti e invincibili, tanto che i guerrieri giapponesi lo portavano nelle proprie borracce anche quando andavano in battaglia.
Ancora oggi il Kombucha ( “tè di Kombu”) è assai utilizzato in Oriente per curare le gastriti e i disturbi digestivi.
Dall’Oriente l’uso del “fungo” del tè si diffuse in tutta la Russia e poi, attraverso la Germania Orientale, in tutta l’Europa.
La prima ricerca scientifica sul Kombucha venne pubblicata nel 1913 dallo studioso tedesco G. Lindau, che attribuì alla coltura simbiotica il nome scientifico di “Medusomyces Gisevii” in omaggio ad un certo dr Gisevius, che l’aveva ottenuto a Mitau, in Kurland, da parte di marinai che la utilizzavano sulle navi dell’epoca “per curare tutte le malattie”, cosa presumibilmente vera viste le frequenti patologie dovute ad avitaminosi che colpivano i marinai dell’epoca, che pativano per una dieta assai carente e per lo più a base di pesce salato e alimenti mal conservati. Dato che il Kombucha fra l’altro è anche ricco di molte vitamine, fra cui la C e quelle del gruppo B, la cui carenza darebbe origine ad una pletora di gravi sintomi, portando l’organismo perfino alla morte (per scorbuto, beri-beri, pellagra, anemia perniciosa etc), è facile capire come gli sfortunati marinai tenessero questa bevanda in grande considerazione .
In Polonia durante la prima guerra mondiale veniva utilizzato un blando ma molto efficace lassativo preparato con un “fungo del Volga” altrimenti detto “fungo Teekwass” (vedi più oltre l’elenco dei sinonimi) che altro non era che il Kombucha.
Negli anni seguenti la prima guerra mondiale i profughi e i prigionieri di guerra russi e tedeschi diffusero la coltura in tutta Europa, tanto che tra le due guerre il Kombucha in Germania era acquistabile perfino in farmacia, sotto il nome di “Mo-Gu” o di “Fungojapon”. Anche in Italia era conosciuto, ed era anzi considerato “trendy” offrire la bevanda preparata in casa o regalarne la coltura.
Durante la seconda guerra mondiale l’uso del Kombucha in Europa andò perso, verosimilmente a causa del fatto che le colture furono lasciate morire per la mancanza delle due materie prime essenziali alla loro sopravvivenza: lo zucchero e il tè. Inoltre si erano diffuse alcune voci palesemente infondate che consideravano il “Fungus Japonicus” una muffa, cosa che assolutamente non è, e quindi cancerogeno (vedi oltre). Triste destino per un prodotto che invece il cancro lo previene e lo cura!
Inoltre l’avvento delle medicine “moderne”, dei sulfamidici, degli antibiotici e delle gustose (anche se potenzialmente “velenose) bibite gassate (6bis), unitamente al propagarsi di uno stile di vita “modernista” che scimmiottava i vincitori americani, cambiò (in peggio) le scale di valore degli europei, che si allontanarono sempre più dai prodotti semplici e naturali, ingiustamente percepiti come indice di arretratezza, ignoranza e provincialismo.
Soltanto oggi, dopo aver preso atto dei disastrosi risultati apportati dallo stile di vita americano, possiamo assistere da parte delle persone più evolute a una rivalorizzazione dei prodotti tradizionali e dei rimedi naturali che sta iniziando a riportare anche il Kombucha nelle nostre case.

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