TESI - cap. 3.13 Punti importanti da osservare

A volte la coltura galleggia in superficie, ma a volte si posa sul fondo del recipiente. Vanno bene entrambe le situazioni. Quando la coltura si adagia sul fondo, una nuovo coltura (una coltura figlia) comincerà a crescere in superficie. Per maggiori dettagli vedere la Parte IX del mio libro.(9) La coltura di Kombucha ha bisogno a volte di riprodursi. Essa comincia con uno strato sottile e trasparente. La nuova coltura crescerà più spessa tanto più a lungo verrà lasciata lavorare.
Se la crescita di nuovi ‘figli’ di Kombucha crea problemi (Cosa che può accadere in inverno, quando fa troppo freddo) potete provare a separare la nuova coltura che sta crescendo da quella per la preparazione della bevanda, la nuova coltura ha bisogno di tempo per crescere. Si consiglia di lasciarla sulla superficie del liquido per almeno tre – cinque settimane.
La coltura di Kombucha cresce e ricopre completamente la superficie del tè.
Allo stesso tempo acquista uno spessore considerevole. In realtà si tratta di strati sovrapposti che sono facilmente separabili. Ognuna delle colture separate può essere utilizzata per la fermentazione del tè separatamente. Se la coltura affonda nel recipiente, come già detto, se ne formerà una nuova in superficie.
In questo modo ogni coltura potrà continuare a riprodursi e a produrre la bevanda, fino a che non diventerà di un colore marrone scuro. Quando avrà assunto questo colore sarà necessario rimpiazzarla con un’altra della sua prole. In questo modo un’unica coltura può offrire a voi, alla vostra famiglia e ai vostri amici un rifornimento continuo di tè al Kombucha a un costo veramente bassissimo.
Fonte: http://www.kombu.de/anleit-i.htm , tratto da Kombucha – Healthy Beverage and Natural Remedy from the Far East , By Günther W. Frank, ISBN 3-85068-337-0, pubblicato da W. Ennsthaler, A-4402 Steyr, 1995.
Vorrei aggiungere alcune precisazioni a queste istruzioni.

Per prima cosa io consiglio di non usare il tè in bustine, e non soltanto perché costa molto di più di quello sfuso ed è in genere di qualità assai inferiore, ma perché è sempre bene evitare, potendo, di bersi un infuso di carta insieme all’infuso di tè. L’industria cartaria infatti usa acidi, composti tossici e prodotti sbiancanti che volenti o nolenti restano sempre in traccia nel prodotto finito. Hulda Klark (10) consiglia addirittura, quando si va al bar, di togliere immediatamente la bustina dall’acqua e di aprirla per versarne il contenuto sfuso nella tazza: meglio bere un po’ di detriti biologici che rimpinzarsi di tracce di prodotti chimici tossici.

Per quanto riguarda l’uso di un tè di erbe medicinali, vale quanto detto nel capitolo precedente circa il tè di foglie di betulla usato da Solzhenitzyn, cioè che le diverse piante possono conferire delle particolari proprietà al Kombucha, ma quest’ultimo fermenta meglio nel tè nero e quindi bisognerebbe sempre aggiungerne una buona parte nell’infusione. Inoltre molte fonti riferiscono che alcune erbe non sono adatte alla fermentazione col Kombucha, perché contengono elevati tassi di olii essenziali e di fenolo, che hanno proprietà antisettiche e batteriostatiche e possono danneggiare alcuni ceppi dei fermenti. In aggiunta a ciò le erbe potrebbero anche contenere un’elevata quantità di spore e germi che non vengono tutti uccisi dall’infusione in acqua bollente e potrebbero quindi cominciare a proliferare nel delicato momento iniziale, quando la fermentazione non è ancora avvenuta e gli acidi antibatterici del Kombucha (principalmente acido usnico) non sono ancora presenti.

Quindi almeno all’inizio è meglio non fare esperimenti e attenersi al tè nero, che oltretutto è il tè che veniva originariamente usato in Oriente per la preparazione del Kombucha.
Il tè deve essere lasciato in infusione a lungo e risultare piuttosto scuro. Qualcuno consiglia anzi di far bollire il tè per 15 minuti (A).
Bing (5) ha rilevato che il tè nero è una delle bevande col più alto contenuto di purine e di tannini, che il Kombucha utilizza con vantaggio nel suo metabolismo.
Studi recenti (dr. J. Reiss-1987-(28)) hanno dimostrato che la coltura dà origine alle più alte concentrazioni di acido lattico e acido gluconico quando la soluzione nutriente è formata da tè nero.
Qualcuno invece raccomanda di usare il tè verde, perché è assodato che protegge dal cancro.
Secondo la mia esperienza il fatto di usare tutto tè verde dà alla bevanda un aspetto un po’ strano, si osserva una fermentazione meno vigorosa e si ottiene anche un prodotto meno gradevole come sapore che usando il tè nero. Inoltre il tè verde è sì un ottimo protettivo nei confronti del cancro, ma non sappiamo se i preziosi polifenoli e catechine vengono metabolizzati e alterati durante la fermentazione, nel qual caso non potrebbero più svolgere la loro azione protettiva. Meglio quindi consumare il tè verde a parte, da solo, senza zucchero e senza latte (che ne attenua molto le proprietà), e concedere il tè nero al Kombucha, che ci ripagherà crescendo meglio, più buono, più ricco di elementi utili e anche più efficace nei confronti del cancro.
Si può usare anche lo zucchero di canna, ma oltre a spendere parecchio di più si ottiene un sapore strano e a me sembra anche che la coltura fermenti meno bene. Inoltre nutro il dubbio che sia meno sterile dello zucchero industriale raffinato bianco, che come sostiene William Dufty ( “Sugar Blues: il mal di zucchero-la storia segreta del nostro nemico più dolce” – Macro Edizioni) è sì certamente “un lento veleno” se da noi consumato così com’è (30), ma che nel caso specifico serve ad alimentare i lieviti e non noi e va quindi scelto in funzione del loro metabolismo e non del nostro. Il Kombucha non ha bisogno dei minerali dello zucchero di canna perché già li trae dal tè nero, insieme ad altre sostanze complesse, e con lo zucchero bianco si sviluppa benissimo.
Gunther Frank (9), dopo aver svolto una ricerca veramente approfondita ed aver effettuato svariate prove non ha dubbi: la zucchero bianco è il migliore in assoluto, per il Kombucha. Per prima cosa esso viene presto scisso dai fermenti in glucosio e fruttosio, in proporzioni identiche. Il glucosio è pressoché interamente usato dai lieviti per dare origine agli acidi (gluconico, glucoronico, ialuronico, usnico…), a vitamine (specialmente C e del gruppo B), a sostanze antibiotiche, anidride carbonica etc. Il fruttosio è usato anch’esso, ma in seconda istanza e ne rimane una piccola parte nella bevanda finale. Dello zucchero bianco iniziale non rimane nulla.
Il Ph risultante è molto più basso e la quantità di acido glucoronico è molto più elevata usando lo zucchero bianco che quello integrale di canna.
Inoltre la bevanda risultante dall’uso dello zucchero integrale di canna contiene poca anidride carbonica (segno di una fermentazione difficoltosa) e risulta molto torbida e filacciosa e di sapore poco gradevole. Per contro contiene una maggior quantità di minerali, ma questo vuol anche dire che i microrganismi del Kombucha non li hanno utilizzati nel loro metabolismo. Quanto a noi, possiamo assumere i minerali che ci servono da altre fonti, senza dover proprio andare a rendere difficile la vita al Kombucha.
Da evitare invece il miele, che avendo proprietà antibiotiche proprie (che oltretutto variano a seconda della qualità dei nettari di provenienza) potrebbe sposarsi male coi fermenti e impedirne addirittura una corretta moltiplicazione. Inoltre nel miele predomina il fruttosio (34-41%) rispetto al glucosio (28-35%), che come abbiamo visto non è pienamente “gradito” dal Kombucha: il risultato finale è che la bevanda ottenuta dalla fermentazione del miele, anche quando correttamente avvenuta, contiene più acido acetico (non benefico e dall’aroma poco gradevole) e meno acido gluconico (assai benefico al nostro organismo) rispetto alla fermentazione dello zucchero bianco.
Riserviamo quindi il buon miele e lo zucchero di canna alla nostra alimentazione e lo zucchero raffinato bianco, più gradito al Kombucha, alla fermentazione.

Per quanto riguarda l’imbottigliamento, bisogna usare delle bottiglie preferibilmente di vetro ma molto robuste e rotonde (non a base quadrata) se no scoppiano a causa della fermentazione, che prosegue parzialmente in bottiglia. Se si vuol ottenere una bevanda particolarmente effervescente, si può anzi aggiungere mezzo cucchiaino di zucchero in ogni bottiglia, per potenziare questa fermentazione residua. E’ anche meglio lasciare un minimo d’aria nella bottiglia, per evitare che scoppino con effetto geyser-bomba, rischiando di farti venire l’infarto per il botto e riempiendo il locale di un liquido appiccicoso e dal forte odore di fermentazione! Se poi le bottiglie, come purtroppo erano le mie, sono una vicino all’altra, un effetto tipo “reazione nucleare a catena ” è inevitabile…
Per mantenere la coltura ad una temperatura costante ( 23° – 27°) durante la fermentazione anche d’inverno, Gunther Frank consiglia di utilizzare una piattaforma riscaldata elettricamente, che si può acquistare anche via internet sul suo sito. Io uso invece un grosso catino, in cui metto quattro vasi di vetro da 5 litri ciascuno col tè e la coltura (si comperano in drogheria e normalmente servono per le conserve casalinghe), che poi riempio d’acqua che mantengo calda tramite un riscaldatore termostatato che normalmente serve per gli acquari dei pesci tropicali. Perché l’acqua nel catino non diventi anch’essa un brodo di batteri, ci metto qualche goccia di argento colloidale (che mi preparo da solo – Vedi anche in Bibliografia – 32) – “Argento colloidale – Il germicida universale”, e i links L –M -N), che come si sa (o meglio, come non si sa e come si cerca a tutti i costi di non far sapere, perché se la cosa divenisse di dominio pubblico sarebbe la fine dell’enorme business dell’industria farmaceutica incentrato sugli antibiotici e sugli antivirali) è uno dei più efficaci anti-batterici, anti-micotici e anti-virali che si conoscano, pur essendo completamente innocuo per l’uomo (32). L’acqua nel catino andrebbe comunque per prudenza cambiata ad ogni ciclo di produzione.
Ogni tre o quattro “infornate” è meglio cambiare il “fungo”, mettendone uno nuovo, che si forma spontaneamente praticamente ogni volta. Si può utilizzare la coltura “vecchia” per confezionare maschere di bellezza o per altri usi (vedi in merito il libro di G. Frank (9)). L’importante è non gettarla nel gabinetto, perchè la coriacea coltura potrebbe adattarsi all’ambiente ricco di nutrimenti e riprodursi in maniera smodata nella fossa settica (sembra che sia realmente già successo!).
La fantascienza è ricca di storie di “blobs” che escono dalle fogne e vengono a soffocarti nel letto….

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