TESI - cap. 6.13 I grassi e gli omega 3

La più grave carenza nutrizionale che affligge i paesi industrializzati è quella che riguarda gli acidi grassi essenziali (in special modo gli omega 3 – (21)).
I più gravi e pericolosi errori concernenti l’alimentazione in tutti i popoli del mondo, e in particolar modo quelli dei Paesi industrializzati, riguardano gli acidi grassi alterati, che sono una delle cause principali delle degenerazioni cancerose (5).
Che i grassi siano uno dei fattori essenziali da tenere in considerazione nella lotta contro il cancro lo avevamo già capito semplicemente studiando le opere di Gerson, in cui il grande medico asserisce che mediante la sua dieta, per altro assai valida ed efficace nei confronti di tutte le malattie cronico degenerative, continuava ad avere risultati non del tutto soddisfacenti nei tentativi di cura del cancro, finché non si rese conto di dover cambiare il suo approccio all’uso dei grassi. Dopo di ciò la sua “dieta” si dimostrò assai efficace anche in casi di cancro avanzato, ottenendo tassi di remissione completa dell’80% (ho messo le virgolette alla parola dieta perché più che una semplice “dieta”, come viene comunemente designata, la “Dieta Gerson” è in realtà un sistema terapeutico completo di disintossicazione, integrazione e cura dell’organismo) (6).
Gli acidi grassi (che sono i componenti base di tutti quei prodotti alimentari che vengono comunemente chiamati “grassi”, tanto che si può affermare che ai fini pratici gli acidi grassi sono i grassi), si possono dividere in “essenziali” e “non essenziali”, dove per “essenziali” si intendono quegli acidi grassi che il nostro corpo non è in grado di fabbricare da sé e che quindi bisogna necessariamente reperire nell’alimentazione.
Gli acidi grassi essenziali sono i polinsaturi omega-3 e omega-6. La loro scoperta è attribuita al grande biochimico tedesco dr. Johanna Budwig e risale soltanto ai primi anni 50 del secolo scorso. Possiamo quindi dire che la nostra conoscenza in un campo così importante è relativamente recente.
Dei due acidi grassi essenziali gli omega 3 sono i più importanti, dato che la nostra dieta normale ci fornisce omega 6 in abbondanza (es: LA = acido linoleico che è abbondantemente presente in carne, uova, oli vegetali e perfino verdure), mentre è molto carente di omega-3 (es: LNA = acido linolenico), come vedremo fra poco.
Gli altri acidi grassi sono quelli “saturi” e quelli “mono-insaturi”.

SATURI, POLINSATURI, MONOINSATURI E IDROGENATI -TRANS

Gli acidi grassi sono formati da molecole diverse disposte in una “catena” di lunghezza variabile. Più questa “catena” è rigida e più il lipide presenterà un aspetto solido a parità di temperatura (si considera una temperatura ambiente temperata, più o meno di 20°. Al sole dei tropici anche l’olio di cocco e il burro risultano liquidi, mentre al Polo Nord anche l’olio d’oliva e perfino quello di lino diventano solidi (con l’unica eccezione forse dell’acido arachidonico puro, che è un acido grasso polinsaturo che però non esiste in forma isolata e pura in natura, e che solidifica a meno 49,5°.)
La flessibilità della catena lipidica è data da punti di “snodo” che praticamente si comportano come “giunti cardanici“ che permettono ai vari segmenti della catena di flettersi l’uno rispetto all’altro: tali “snodi” sono più di uno per gli acidi poli-insaturi (acido linolenico o omega-3, oppure acido linoleico _da non confondere col precedente_ o omega 6 – vedi allegato 3 ), che hanno un aspetto molto liquido anche a basse temperature, proprio perché sono molto “snodati”.
Quando lo “snodo” è uno solo, si parla di acidi mono-insaturi (acido oleico o omega-9 – vedi allegato 2 ), di aspetto liquido a temperature medie e più o meno solido a temperature più basse.
Quando gli “snodi” sono totalmente assenti la catena molecolare risulta rigida e il corrispondente lipide mantiene un aspetto solido anche a temperature ambientali medio-alte (grassi saturi, come l’acido palmitico-palmitinico, lo stearico, il butirrico, il caprilico etc ). (Vedi allegato 1).
Il seguente disegno, tratto da Wikipedia, enciclopedia on-line (A2) illustra bene queste caratteristiche. Come si vede la catena molecolare può piegarsi solo in corrispondenza degli snodi, che quando esistono (nel disegno sono presenti solo negli acidi oleico e linolenico) sono indicati dal doppio trattino posto in corrispondenza delle punte mozzate della catena:

Gli acidi grassi saturi (che hanno una catena molecolare senza snodi e quindi non flessibile e di aspetto non interrotto e continuo, per l’appunto “saturo”), sono caratteristici in genere dei grassi animali e degli oli tropicali, che hanno quindi un aspetto generalmente solido (burro, lardo, olio di cocco, burro di karitè etc). Caratteristico è il comportamento dell’olio di cocco, che comperato come liquido sulle roventi bancarelle dei mercati locali, una volta tornati in Italia non esce più dalla bottiglia perché è diventato un blocco unico!

I GRASSI IDROGENATI invece, detti anche TRANS (perché assai ricchi di trans-grassi (A13)) non esistono in natura e sono prodotti esclusivamente tramite un procedimento industriale. In pratica tramite processi di chimica industriale vengono distrutti i punti di flessibilità degli acidi grassi mono e poli – insaturi, rendendoli di aspetto solido e assai resistenti alle alterazioni e all’irrancidimento, quindi meglio adatti ad una lucrosa commercializzazione nell’industria alimentare, dove una data di scadenza più lontana permette un ciclo di vita più lungo dei prodotti (margarine, dolci, merendine, crakers, biscotti, gelati, creme, salse etc.: i famigerati “grassi idrogenati” sono presenti quasi ovunque negli ingredienti dichiarati in etichetta).

Il risultato di tale operazione è utilissimo per incrementare i profitti industriali, ma disastroso per la salute, dato che alla fine creano danni alle cellule (21 e 8), ed in particolar modo alla loro membrana (vedi l’importantissima Nota * 11), giungendo ad alterare il ciclo di trasporto dell’ossigeno e quindi, a lungo andare, la respirazione e la produzione di energia da parte dei mitocondri (8). In pratica, dato che il cancro è fondamentalmente causato da una carenza di ossigeno a livello cellulare (12 e 8, ma vedi soprattutto i lavori del premio Nobel Otto H. Warburg, A3), i grassi trans contribuiscono fortemente ad incrementare il rischio di contrarre il cancro.
Questa loro pericolosità non è stata ancora pienamente ammessa dalla medicina ufficiale, altrimenti essi sarebbero stati proibiti da tempo. Purtroppo gli interessi in gioco sono troppo grandi e ci vorrà ancora parecchio tempo perché la verità venga finalmente a galla, come è già successo anche nel caso del fumo del tabacco, dichiarato ufficialmente cancerogeno dopo più di 30 anni che si parlava della sua pericolosità e dopo che erano apparsi parecchi studi, ovviamente di parte e successivamente confutati, che ne dimostravano la fondamentale “innocuità” (Vedi Nota *14).

I grassi idrogenati TRANS non dovrebbero essere considerati commestibili, come in effetti non sono! Infatti gli animali selvatici, che seguono il loro istinto, se possono non mangiano i grassi idrogenati: basta lasciare un pezzo di margarina in giardino per rendersi conto che le formiche ed i topi non la toccano, mentre fanno a gara per gettarsi sul burro o sul lardo (8). Inoltre la margarina (che è fatta prevalentemente di grassi idrogenati) non irrancidisce quasi mai (al massimo si altera la parte “buona” non idrogenata) e non va a male neanche se viene lasciata fuori dal frigorifero: ciò significa che non assorbe ossigeno come invece fanno tutti gli altri grassi commestibili, che irrancidiscono e si degradano, alcuni anche molto rapidamente, come il prezioso olio di lino ed i grassi presenti nei pesci, dimostrando così di far parte del ciclo biologico della Natura e di poter svolgere egregiamente il loro ruolo di “calamite di ossigeno” nella membrana cellulare (5), ruolo essenziale per la buona respirazione e la sopravvivenza della cellula.
La margarina invece, rimanendo a lungo inalterata, dimostra più di essere un prodotto minerale, come l’olio lubrificante delle automobili, che un alimento biologico. Infatti è un prodotto artificiale, che non esiste in Natura. Se i grassi idrogenati avessero una qualche utilità per gli organismi viventi certamente la Natura, nella sua infinita saggezza e praticità, li avrebbe in un modo o nell’altro creati e ce li avrebbe fatti trovare negli alimenti.

Come i transessuali non sono né uomini né donne, pur pretendendo di svolgere le funzioni di entrambi e finendo poi per non essere né carne né pesce, così i grassi TRANS e i grassi idrogenati non sono né realmente saturi né insaturi, né palesemente tossici né realmente commestibili, né appartenenti al regno minerale né appartenenti compiutamente a quello animale o vegetale. Pretendono di essere utili alla salute (vedi le varie pubblicità fasulle sulle margarine che millantano inesistenti protezioni cardiache, quando al contrario causano direttamente numerose cardiopatie) ma finiscono per minarla subdolamente: indeboliscono e alterano la struttura delle membrane cellulari, rallentano la conversione del colesterolo nel fegato contribuendo ad alzarne il livello nel sangue, abbassano il livello delle lipoproteine HDL (benefiche) e alzano quello delle lipoproteine LDL (dannose, perché creano problemi alle arterie), causano infiammazioni croniche all’organismo aumentando gli ormoni pro-infiammatori, come la prostaglandina E2, inibendo al contempo l’azione degli ormoni antinfiammatori, come le prostaglandine E1 e E3, etc. (8).

Fra i tanti studi effettuati che dimostrano la pericolosità dei grassi TRANS e idrogenati, ne riporto solo uno che mi sembra particolarmente significativo (1) : fra le popolazioni del Nord e del Sud dell’India nel 1967 esisteva stranamente un’enorme differenza nel tasso di malattie cardiache. I popoli del Sud erano prevalentemente vegetariani, ed avevano tassi di colesterolo particolarmente bassi. Quelli del Nord mangiavano carne ed avevano alti livelli di colesterolo nel sangue, anche perché come grassi per cucinare usavano prevalentemente burro di vacca o di bufala purificato (ghee ). Ebbene, contrariamente alle aspettative i popoli del Sud avevano un tasso di malattie cardiache ben 15 (quindici!) volte superiore a quello dei popoli del Nord. Dato che si era esclusa una causa genetica, qual era la ragione di questa stranezza, che sembrava contraddire tutti i moderni studi di dietetica? A parte l’uso dei vegetali al posto della carne (in sé e per sé benefico), i popoli del Sud già nel 1967 facevano largo uso di margarina (artificiale) e oli vegetali raffinati e polinsaturi di derivazione industriale (“ Il processo di raffinazione commerciale standard distrugge gli acidi grassi essenziali, e crea elevati livelli di TRANS-acidi grassi, rimuovendo nel contempo importanti costituenti naturali ed agenti protettivi come minerali e vitamina E” –(8)), più economici del tradizionale ghee usato al Nord.
Vent’anni dopo la situazione si era per così dire “normalizzata”: anche i popoli del Nord, nella loro ansia di emulare noi occidentali e di mettersi al passo coi tempi, avevano abbandonato l’uso del vecchio ghee per sostituirlo con i più moderni oli vegetali raffinati di derivazione industriale e con la prestigiosa margarina (usata dagli ammiratissimi inglesi), ottenendo in cambio un drastico aumento di decessi per attacchi cardiaci (24) che consentiva loro di mettersi modernamente al passo anche con i più progrediti tassi di mortalità per patologie cardiovascolari del Sud e dell’Occidente!

EFFETTI BENEFICI DEGLI OMEGA – 3

Come già precedentemente detto, gli omega-3 sono acidi grassi essenziali (cioè non producibili da parte del nostro organismo, e che quindi vanno necessariamente assunti tramite l’alimentazione) e poli-insaturi, cioè assai fluidi e molto reattivi all’ossigeno. Infatti si ossidano facilmente, purtroppo alterandosi. Però è proprio per la loro reattività all’ossigeno che svolgono così bene il loro ruolo essenziale nella respirazione cellulare.
Essi sono assai benefici per la salute in generale, con particolare riguardo alla prevenzione delle malattie cardiache e del cancro.
I primi studi che hanno dimostrato l’importanza degli omega-3 sono stati quelli effettuati sugli Inuit della Groenlandia ( gli “esquimesi”), che nonostante un’alimentazione assai ricca di grassi animali (foca, balena, orso polare, pesci grassi, uccelli…) e quasi del tutto priva di frutta e verdura, quasi non soffrono di malattie cardio-vascolari. Avvicinandosi alla civiltà e assumendone le abitudini divengono invece soggetti a tutte le nostre malattie (proprio come gli indiani del Nord), dimostrando che le cause di tale preziosa protezione non risiedono in differenze genetiche, ma esclusivamente nella dieta.
In effetti la loro dieta tradizionale è assai ricca di pesci grassi, come lo sgombro, le sardine e il salmone, che sono ricchi di omega-3 nella loro forma più preziosa e meglio bio-disponibile per il metabolismo umano: l’EPA (acido ecosapentaenoico) e il DHA (acido docosaesaenoico), che possono essere direttamente utilizzati dal nostro organismo senza alcuna ulteriore trasformazione.
Partendo da questa considerazione è in seguito stato appurato che questi importanti acidi grassi svolgono un effetto fortemente protettivo nei confronti delle malattie cardiovascolari e del cancro.

Un altro omega-3, l’acido linolenico o LNA, che si trova in alcuni (rari) vegetali (vedi tabella), per essere utilizzato deve invece essere scisso dal nostro corpo nei suoi componenti fondamentali EPA e DHA (gli stessi che sono presenti nei pesci grassi), cosa che risulta difficile in caso di eccessiva presenza di LA, acido grasso polinsaturo omega-6, o acido linoleico, di cui la nostra dieta è troppo ricca, e che non va assolutamente confuso col quasi omonimo linolenico, o meglio alfa-linolenico, poco ante citato. (Ma non potevano dargli un nome un po’ diverso, per evitare la confusione?).
In caso di eccessivo squilibrio nel rapporto omega-6 / omega-3, come di norma purtroppo avviene nella nostra dieta moderna (tale rapporto è precipitato da un virtuoso 1 a 1 dei primi esseri umani ad un ancora sufficientemente corretto 6 a 1 di cento anni fa, fino a giungere ad un terrificante 20 a 1 odierno) il nostro corpo non solo non riesce nemmeno ad utilizzare completamente il poco LNA disponibile, perché i troppi omega-6 presenti sequestrano la maggior parte degli elementi necessari alla scissione dell’LNA, ma nel tentativo produce anche una grande quantità di molecole infiammatorie che causano uno stato di perenne infiammazione (cronica) che può avere “ … effetti nefasti sull’equilibrio dell’organismo” (Béliveau e Gingras, (21)).
Tale situazione, in una perversa sinergia, è ulteriormente e pesantemente aggravata dall’uso di grassi TRANS, che come detto non solo sono essi stessi causa di infiammazioni, contribuendo ad aggravare il problema, ma inibiscono anche l’azione degli ormoni anti-infiammatori (prostaglandine E1 e E3) (8), portando a segno una micidiale doppietta contro i delicati meccanismi che mantengono la salute nel nostro corpo: aumentano lo stato infiammatorio generale e nello stesso tempo ostacolano il riassorbimento delle infiammazioni già esistenti.

Dato che gli stati di infiammazione prolungati sono una riconosciuta causa di tumore, ben si comprende l’importanza di eliminare al più presto dalla nostra dieta tutti i grassi TRANS (idrogenati), da fuggire sin da subito come la peste, e di ristabilire tramite la dieta un equilibrio più corretto fra omega-6 e omega-3, aumentando il consumo di cibi ricchi di omega-3 (acido alfa-linolenico o meglio ancora di EPA e DHA –vedi tabella qui sotto riportata):

Immagine tratta da “L’alimentazione anti-cancro” (21).

La seguente tabella, da me elaborata sulla base di dati riportati in “Alternatives in cancer therapy” (23) mostra le percentuali di omega 3 e omega 6 negli oli vegetali più comunemente usati:

Omega 3
Omega 6
lino
58 / 60
18 / 20
*canola
10
24
soia
8
50
mandorle
0
26
avocado
0
10
grano
0
60
olive
0
8
arachidi
0
30
girasole
0
69
sesamo
0
41
cartamo
0
79

*) N.B. In linea di principio l’olio di canola va evitato perchè non esisteva in natura, dato che viene estratto da piante di colza geneticamente manipolate per minimizzare la presenza di acido erucico (di cui l’olio di colza naturale è assai ricco) che a lungo andare danneggia il cuore. La “canola” infatti non è una pianta, ma il nome deriva dalla contrazione e abbellimento di “Canadian Oil” (all’inizio veniva prodotto prevalentemente in Canada). Correttamente andrebbe quindi chiamato “il” canola. Ma il grosso problema è che il canola sta alla fine risultando perfino più dannoso per il sistema cardiovascolare dell’olio di colza, dato che i procedimenti industriali ai quali viene sottoposto durante la sua produzione (raffinazione caustica, candeggio, sgommatura, riscaldamento ad alte temperature etc) provocano un elevato grado di deterioramento dei suoi polinsaturi omega-3, che come sappiamo sono assai delicati e soggetti a rapida ossidazione, con formazione di pericolosi acidi grassi TRANS, che oltretutto favoriscono anche l’insorgere del cancro. Il canola va quindi evitato come la peste, cosa non sempre facile dato che viene spesso anonimamente usato per produrre grassi idrogenati o viene impiegato per la produzione di crackers e biscotti sotto la generica dicitura di “oli vegetali” (17 bis).

Studi più approfonditi e ben circostanziati, anche se non ancora completamente recepiti dalla medicina ufficiale (8), hanno evidenziato che non sono tanto gli omega-6 in eccesso ad essere dannosi per la salute, quanto gli omega-6 alterati (dalla cottura, dai procedimenti industriali, dagli additivi, dalla cattiva conservazione e soprattutto dall’idrogenazione). Ciò rende difficile anche calcolare il corretto rapporto fra omega-6 e omega-3 che gli integratori di questi ultimi devono avere, soprattutto per non cadere nel problema opposto, perché anche un eccesso di omega-3 può essere molto dannoso se non è in equilibrio con gli omega-6 alterati e non alterati disponibili. (A4 e 8). Sembra che gli integratori debbano restare in un intervallo compreso fra 1 a 1 e 2,5 a 1, a favore degli omega 6 (quindi omega 6 in quantità almeno uguale o fino a 2,5 volte maggiore rispetto agli omega 3). Molto dannosi sarebbero gli integratori al 100% di omega 3 (A4).

Per il naturopata tale problema non si pone: per aumentare l’apporto di omega-3 noi faremo uso di quei cibi che ne sono naturalmente ricchi, consumandoli come la naturopatia da sempre sostiene che bisogna in ogni caso fare per ogni tipo di cibo: freschi e assunti nella loro integralità, meglio se crudi o almeno poco cotti (certamente non fritti!), evitando quelli additivati, conservati o comunque industrialmente processati… Così facendo ci avvicineremo almeno un po’ agli Inuit non contaminati dalla modernità, che consumano tutti i loro grassi (saturi, insaturi o polinsaturi che siano) crudi (non hanno legna per cucinare…), non industrialmente processati e quindi non alterati, ben conservati (il freddo non manca, e neanche il buio durante i mesi invernali – durante quelli estivi mangiano ciò che pigliano al momento), e consumano integralmente le loro prede (per esempio mangiano anche la pelle dei pesci, sotto la quale gli omega-3 sono particolarmente concentrati e che noi in genere buttiamo via. Del resto essi non buttano nulla: mangiano perfino le cacche degli orsi polari, quando hanno la “fortuna” di trovarle – ben si vede quindi che pestare una bella caccona al Polo Nord porta davvero una ghiotta fortuna!).

Imitando lo stile naturalista degli inuit (ma tralasciando le cacche d’orso, che qui sono difficili da trovare e del resto mal si sposano ai nostri gusti culinari) noi preferiremo quindi mangiare le noci ed i semi di lino macinati al momento, piuttosto che i rispettivi oli che spesso non si sa come siano stati ricavati e che si ossidano molto rapidamente (ricordiamo che gli omega-3 assorbono l’ossigeno con grande facilità, non come i grassi TRANS che non si ossidano: l’olio di semi di lino va buttato già dopo 3 mesi dalla spremitura, e perfino molto prima se viene aperto o tenuto alla luce; la margarina invece può durare degli anni, e se va buttata è perché alla fine si altera quella porzione di grassi non idrogenati che è pur sempre presente).

Aumentando le quantità di omega-3 (biodisponibili) presenti nella nostra dieta otterremo diversi benefici: diminuzione dei problemi cardiovascolari e delle aritmie cardiache, abbassamento dei livelli di lipidi nel sangue, riduzione del rischio di aterosclerosi (21), diminuzione di problemi quali: artriti e rigidità alle giunture, sindrome di irritazione intestinale, sindrome premestruale, problemi alla prostata, depressione, fobie e schizofrenia (Siguel, 9) e finalmente, “last but not least”, una buona riduzione del rischio di sviluppare un cancro, specialmente al seno, al colon e alla prostata, come dimostrano diversi studi epidemiologici (21).
In laboratorio gli studi sui topi hanno dimostrato che effettivamente l’inclusione di omega-3 nella dieta riduce lo sviluppo di cancro al seno, al colon, alla prostata e anche al pancreas, aumentando anche, in caso di neoplasia già in atto, l’efficacia dei farmaci chemioterapici (21).

I meccanismi coinvolti in questo processo protettivo sembra siano dovuti, oltre che all’importante azione di riduzione dei processi infiammatori che alterano il funzionamento del sistema immunitario e predispongono di per sé al cancro, alla capacità degli omega-3 di rallentare l’angiogenesi e nel contempo di facilitare l’apoptosi delle cellule tumorali (21). Non bisogna poi dimenticare il fondamentale ruolo che essi svolgono nella costituzione della membrana cellulare e nello svolgimento del ciclo di Krebs, vale a dire nella respirazione delle cellule e nella loro produzione di energia (vedi nuovamente anche l’importante Nota *11).

Come ormai sappiamo ed abbiamo più volte ripetuto, tutto ciò che facilita la respirazione cellulare ed apporta ossigeno all’interno della cellula stessa e dei mitocondri allontana dal cancro e dalle malattie cronico-degenerative. Tutto ciò che rende difficoltosa la respirazione cellulare e il rifornimento di ossigeno ai mitocondri ci conduce verso il cancro.

CONCLUSIONI

Variare le proporzioni degli acidi grassi presenti nella nostra dieta, aumentando l’assunzione di omega-3, protegge dal cancro e dalle malattie cardio-vascolari.

Inoltre dobbiamo capire che evitare i grassi TRANS è un fattore di primaria importanza : mentre ci teniamo alla larga dai trans-sessuali, che ci sconcertano e ci allarmano perché non appaiono “naturali” pur essendo in ultima analisi innocui (se non hanno l’HIV!), i pericolosi trans- grassi prodotti artificialmente tramite un procedimento di “inciuccio” industriale, che non esiste in Natura, non impressionano per nulla, appaiono innocui e noi li consumiamo senza troppe preoccupazioni ma in realtà ci conducono lentamente alla degenerazione e al disastro.

Quindi non tutti i grassi sono uguali e bisogna sceglierli con cura : ne va della nostra vita (immagine tratta da “L’alimentazione anti-cancro” (21)):

Particolarmente insidiosi sono gli omega-6 alterati dall’invecchiamento o da una cottura sbagliata o dai procedimenti industriali (anche se non sono stati idrogenati divengono essi stessi in parte TRANS): vanno per quanto possibile evitati e controbilanciati con gli omega-3.

Le migliori fonti vegetali di omega-3 (acido alfa-linolenico) sono i semi di lino e le noci.
Entrambi si conservano abbastanza bene finché sono mantenuti interi (le noci possibilmente nel proprio guscio) e al buio, meglio ancora se al freddo. Si alterano invece rapidamente (ossidandosi e irrancidendo) quando vengono macinati e peggio ancora si comportano quando sono trasformati in olio (come insegna anche il triste caso del canola, che oltretutto non viene nemmeno spremuto a freddo). Tutti i grassi rancidi sono cancerogeni, anche se sono omega-3, e vanno assolutamente evitati (specialmente se i grassi sono saturi e bruciati ).
E’ importante quindi consumare le noci, che siano ovviamente di recente raccolta e di produzione possibilmente biologica, appena sgusciate o, se già in gheriglio, almeno conservate al buio e sotto vuoto. I semi di lino vanno possibilmente macinati per garantire una migliore assimilazione (infatti è un po’ difficile masticarli bene, piccoli come sono, ma con un po’ di dedizione ci si può arrivare) e consumati assai presto, qualcuno dice addirittura entro 15 minuti dalla macinazione (8) mentre qualcun altro concede qualche giorno se conservati al freddo e al buio (cioè in frigorifero) e in un contenitore ermetico o meglio sotto vuoto (21).
La quantità raccomandata è di tre cucchiai di semi di lino al giorno, da macinare in un frullatore o in un macinacaffè destinato esclusivamente a questo scopo, che da soli forniscono l’intero quantitativo di omega-3 necessario ad una persona di corporatura media. Ovviamente se si utilizzano altre fonti alimentari tale quantitativo può essere ridotto in proporzione.

L’uso dell’olio di semi di lino, raccomandato come integratore da alcune cure del cancro (Gerson, Alix, Nacci, Budwig etc), va riservato a casi particolari, meglio se sotto controllo medico e soprattutto usando un prodotto assolutamente fresco e proveniente da fonte sicura. Altrimenti nonostante i soldi che costa rischiamo di farci più male che bene, perché irrancidisce subito (vedi anche la Nota *10).

Le fonti animali di omega-3 sono perfino preferibili a quelle vegetali, perché contengono EPA e DHA che sono già bio-disponibili e direttamente utilizzabili dal corpo.
Inoltre i pesci grassi in cui questi omega-3 sono contenuti in abbondanza (sgombro, sardine, aringhe, salmoni, trote) sono anche ricchi di proteine e si possono consumare almeno due o tre volte alla settimana invece della carne rossa, apportando un doppio beneficio (la carne rossa crea tossine ed acidità nell’organismo, ed un suo eccessivo consumo è stato messo in relazione a numerose malattie e ad alti tassi di cancro, specialmente al colon e al retto).
Si raccomanda di consumare i pesci grassi con tutta la pelle, o almeno con la parte corrispondente al nostro derma, per massimizzare l’assunzione della grande quantità di omega-3 che la Natura ivi localizza (forse per proteggere il pesce dal freddo), evitando di cuocerli troppo e comunque di friggerli.

E’ sconsigliabile consumare trote e salmoni d’allevamento, che vengono nutriti con mangimi carenti di sostanze nutritive adatte ed allevati in acque poco fredde e quindi, come le analisi di laboratorio hanno ben evidenziato, hanno tassi di omega-3 di gran lunga inferiori rispetto ai loro fratelli selvaggi. Inoltre i mangimi sono quasi sempre di dubbia e a volte raccapricciante provenienza (che non cito per preservare il contenuto dello stomaco di chi legge) e le carni risultano spesso di cattivo sapore, quando non palesemente intossicate e quindi dannose per la salute. Chi ha un budget limitato e non può permettersi di acquistare sempre i salmoni selvaggi, che sono più costosi ma più sani, più gustosi e più ricchi di omega-3 rispetto a quelli d’allevamento, può senza perdere nulla rivolgersi al pesce azzurro (sgombri, sardine, aringhe etc) che è il pesce meno caro in assoluto, tanto poco valutato che non vale nemmeno la pena di allevare e che quindi è sempre “selvaggio” e cresciuto in mare aperto. Inoltre come qualità e utilità per la salute non ha nulla da invidiare ai pesci più costosi, anzi ha mediamente il doppio degli omega-3 rispetto alla trota iridea e dal 10 al 25% in più rispetto al salmone selvaggio (Vedi la tabella 15 e la nota *8).

Come grasso per cucinare è consigliato l’olio d’oliva extravergine spremuto a freddo, di recente produzione (meno di un anno) e conservato al buio (la lattina metallica o il foglio di alluminio avvolto intorno alla bottiglia proteggono l’olio dalla luce, che lo fa irrancidire 1.000 volte più velocemente dell’ossigeno (BA), anche durante il lungo periodo in cui esso rimane esposto sugli scaffali del supermercato. Le bottiglie chiare sono da evitare e anche quelle più o meno scure danno una protezione soltanto parziale).
Un olio d’oliva extravergine di buona qualità contiene comunque molti anti-ossidanti che lo proteggono relativamente a lungo e in modo efficace dall’irrancidimento e inoltre sopporta le alte temperature meglio degli oli di semi.
Comunque qualunque tipo di olio che risulti amaro quando se ne mette una goccia sulla lingua è rancido e va buttato ( vedi nota *9), come pure va immediatamente buttato, perché irrimediabilmente alterato e cancerogeno, qualsiasi olio che si sia messo a fumare mentre si frigge: in genere succede quando lo si fa riscaldare troppo, in attesa di buttarci dentro il cibo da cuocere. In seguito il contenuto di umidità del cibo in cottura, che si manifesta tramite il caratteristico sfrigolio, continuando ad evaporare sottrae calore e impedisce che l’olio si scaldi troppo e bruci. Un altro momento pericoloso per l’olio è a fine cottura, quando il cibo è ben secco e croccante e quindi non ha più umidità da cedere tramite evaporazione: da questo momento in poi tutto il calore espresso dal fornello si trasferisce integralmente nell’olio, che così aumenta rapidamente di temperatura e rischia di bruciare, per giunta con tutto il nostro buon cibo dentro, che va irrimediabilmente buttato insieme all’olio divenuto pericolosamente tossico.
Se proprio non si vuol rinunciare alle fritture, è importante procurarsi una friggitrice elettrica termostatata, che permette di regolare automaticamente la temperatura, sia impedendo che salga troppo, sia permettendo di sceglierla in base al tipo di olio usato (il migliore come già detto è sempre l’extravergine d’oliva, ma qualcuno consiglia anche una miscela al 50% di oliva e 50% di burro purificato (ghee), che ha un buon aroma, non fa fumo, non rilascia composti tossici e brucia difficilmente (8)).

Un ultimo consiglio è quello di proteggersi dai radicali liberi prodotti dalle molecole alterate degli acidi grassi, che sono sempre presenti in maggior o minor misura, specialmente se i grassi sono insaturi (che come ricordiamo sono i più utili per il nostro organismo, ma si ossidano più facilmente) assumendo vitamine E e vitamina C come antiossidanti. Queste vitamine hanno anche una funzione protettiva nei confronti del cancro e in particolar modo la vitamina C, oltre ad essere particolarmente efficace anche nelle malattie degenerative, viene utilizzata dal corpo anche per rigenerare la vitamina E “esausta”, quando essa risulta a propria volta alterata per aver depurato i troppi radicali liberi presenti nei grassi. Sono consigliati almeno 500 o 1.000 mg al giorno di vitamina C (8) o dosi ancora maggiori (E), specialmente nei giorni in cui si consumano molti grassi, specialmente se un po’ vecchi e ossidati (salumi) o alterati dal calore (Mc Donald’s insegna…vedi nota *9).

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